Marco Malaguti: La crisi del progresso è anche il tramonto dell’adolescenza spirituale dell’Occidente

Continuiamo la nostra serie di interviste sulla rivoluzione conservatrice con Marco Malaguti dall’Italia. Malaguti lavora come ricercatore presso il Centro Studi Machiavelli. Si interessa al tema della rivalutazione del nichilismo e della grande filosofia romantica tedesca e gestisce il sito Essenzialismi.it. Scrive di filosofia, cultura e geopolitica per diverse testate e blog, tra cui Progetto Prometeo. Con l’avvento al potere del governo Meloni e l’ascesa della destra in Europa, l’Italia è tornata da un po’ di tempo all’ordine del giorno. Con Malaguti abbiamo parlato dei concetti di Occidente, wokismo e destra.

Puoi parlarci della tua organizzazione e centro studi?

Il Machiavelli Centro Studi Politici e Strategici ha un fine, che si potrebbe sintetizzare nel suo motto latino “Suadere atque agere” persuadere e agire. Il nostro lavoro consta nel mettere le nostre idee e i nostri pensieri, che sono prima di tutto lavoro intellettuale e di ricerca, al servizio della politica conservatrice in Italia (ma non solo). Essere al servizio della politica significa però, per noi, agire in due direzioni, da una parte certamente informare e fornire spunti di riflessione ai politici e agli uomini delle istituzioni, ma dall’altra rivolgere le stesse medesime riflessioni anche all’opinione pubblica, che per essere attivamente parte di una comunità politica deve poter godere di informazione e prodotti culturali eccellenti.

Pensi che la storia stia riabilitando l’idea del Principe? Come dovrebbe essere il Principe nella politica di oggi?

Di fronte a questa domanda viene spontaneo chiedersi “Dove?”. Credo che il Principe, inteso come principio regolatore di una Realpolitik, abbia abbandonato esclusivamente l’Occidente. Dagli altri angoli del mondo non se ne è mai andato. Parlando del nuovo corso postbellico della politica occidentale Carl Schmitt parlava di un contesto di “tirannia dei valori”. Cosa intendeva? Esattamente ciò di cui si sta parlando in merito all’Occidente, l’eclissi del Principe e del realismo, dunque del compromesso, dal nostro modo di concepire la politica. Decaduta la valenza assiale dei princìpi religiosi trascendenti, la politica occidentale ha avuto bisogno di trovare un’altra bussola e crede di averla trovata nei valori, che però, a differenza dei princìpi religiosi, sono sindacabili e bestemmiabili da chiunque, in quanto opere transeunti e passeggere di uomini come gli altri. È evidente dunque che per continuare a fungere da bussola questi valori devono necessariamente diventare tirannici. Schmitt non ha conosciuto nè il politicamente corretto nè quello che noi oggi definiamo con il neologismo anglosassone di wokism, ma presagiva quanto andava preparandosi. Per ergersi a teologia e cosmologia un valore non può accontentarsi di rimanere tale (il termine infatti presuppone l’esistenza di un soggetto valutante, che può valutare importante, ma anche poco e per nulla tale, un determinato valore), deve diventare paradigma, cardine e asse, una determinata teologia dei valori deve insomma liberarsi dalla sua valenza prospettica per acquisirne una oggettiva. Le potenze che si affidano ai valori diventano, in poche parole, bombe a orologeria e tendono a scaricare all’esterno il loro potenziale belligeno, in special modo su colui che è definito cieco nei confronti dei valori stessi (Wertblind). Mentre le potenze rette dal Principe si accontentano di servire la ragion di Stato in una chiave di compromesso realistico, quelle rette dalla teologia dei valori devono imporsi sulle altre, pena la decadenza, di fronte al resto dell’arena internazionale e delle proprie opinioni pubbliche, della propria legittimità. Per disattivare questo pericolo potenzialmente belligeno dobbiamo ricordarci sempre di che cos’è un valore. Il termine valore proviene dal gergo dell’economia e del commercio e si può considerare un sinonimo del termine prezzo. Un prezzo, però, non ha valore oggettivo, se non in base all’importanza che il compratore gli attribuisce per sé. Per disattivare la bomba bisogna, in poche parole, deprezzare i valori, renderli poco appetibili, e riscoprire invece l’importanza dell’oggettività, della permanenza e del principio di trascendenza come pietra angolare delle costituzioni politiche. Solo così il Principe può tornare, altrimenti rimarranno solo le brutte copie fanatiche e secolarizzate dei missionari, i tiranni dei valori.

Il tuo ambito di studi è il nichilismo con i romantici tedeschi. Cosa ti hanno insegnato le discussioni sui romantici tedeschi e il nichilismo e perchè ti sei rivolto a questi temi, cosa diresti a proposito della loro importanza? Hce cos’è l’immagine nichilista del nostro tempo? Abbiamo ancora bisogno di uno spirito romantico?


La conclusione della risposta alla domanda precedente inaugura, per alcuni aspetti, la risposta a questo quesito. Tra i conservatori la parola nichilismo ha assunto, a mio avviso ingiustamente, una valenza quasi insultante. Nonostante ciò il deprezzamento di cui parlavo più sopra è precisamente l’avanzamento e il farsi spazio del nichilismo, che procede storicamente verso il suo disvelarsi e affermarsi. I conservatori possono forse rallentare, sbagliando, questo processo, ma non possono impedirlo e fermarlo. È un peccato che la gran parte dei conservatori non riesca invece a comprendere come tale marcia giochi a loro favore. I valori vigenti sono quelli del progressismo, non quelli conservatori. Il vero conservatore, tra le altre cose, dovrebbe difendere realtà oggettive (come le necessità essenziali, le leggi naturali nel loro dispiegarsi spontaneo etc), non gli arbitrii dei vari soggetti valutanti più o meno forti in un determinato momento storico. Sono i socialismi, e più in generale le idee figlie della rivoluzione francese (tra cui i fascismi) a ritenersi correttamente immanenti ai processi storici, vincolandosi così alle sentenze della storia. Il vero pensiero conservatore dovrebbe rifarsi alla meta-storia, ossia al mito, alla religione, alla poesia, concetto quest’ultimo, che unisce gli altri due. Prima ho parlato di necessità di difesa del piano delle realtà concrete e a prima vista potrebbe sembrare che il discorso si stia avvitando in un controsenso, ma così non è. In una visione realmente mitica, anche in un’ottica tradizionale, è la parola a dare forma ai concetti, e dunque alla mente umana che, nel suo complesso, pone il mondo attraverso le sue sistematizzazioni. Sono i topoi del mito a porre il mondo; anche l’odierno mondo occidentale tecnocratico è, a sua volta, figlio del mito dell’onnipotenza della tecnologia e della scienza, il cui status è stato erroneamente alterato da quello di mezzo a quello di fine. La grande scoperta del romanticismo filosofico, attribuibile in massima parte a Schiller (che pure non amava definirsi romantico) e Herder e più tardi a Schelling, è stata la capacità proattiva e creante della parola. Dio crea e pone il mondo con la volontà e la parola (Verbo), l’uomo può modificare e modellare il mondo, come fa un vasaio, secondo le medesime modalità: è questo il grande cambio di passo attuato dalla filosofia romantica e portato poi a compimento dal Schopenhauer e dal primo Nietzsche. Nichilismo e romanticizzazione della politica procedono in ordine: il primo si occupa di far piazza pulita delle macerie dei vecchi valori ormai crollati, la seconda dell’edificazione di una nuova narrazione creante. Qualcosa del genere sta già avvenendo, ma a parti invertite: il progressismo egemone, rappresentato in massima parte dal postmodernismo filosofico, che da Herder e Schiller attinge a piene mani, ha compreso, tramite l’apporto della filosofia del linguaggio, la valenza cardinale della parola e del suo dominio, ma per non perdere la sua essenza utopistica, irenistica e falsamente solidale non ha potuto però fare a meno delle macerie dei vecchi valori, riciclandoli in chiave laica e mettendo così temporaneamente al sicuro la sua natura di supplenza posticcia sulla sede vacante della religione. Ecco perchè la tirannia dei valori teme il nichilismo più di ogni altra cosa. Solo nel silenzio brullo del deserto del nichilismo si può percepire l’essenza della realtà, che non ho vergogna a chiamare Dio. Si tratta di un’impostura che non può durare. Che si tratti dell’apostatizzazione della scienza o del nuovo cristianesimo senza Cristo che la religione dei diritti umani pretende di incarnare, nulla può essere costruito con le macerie. Occorre riedificare, ma per riedificare le macerie devono essere sgombrate, tuttavia in una prospettiva conservatrice solo un principio trascendente può fungere da pietra angolare e ad architrave. Dio può essere percepito solo nel silenzio e in prossimità con il Nulla. È in questa condizione di Nulla (Nihil) che le cose nuove vengono all’essere, è in questa condizione di “morte apparente” (Sloterdijk) che si verifica la dischiusura (Erschlossenheit) che rende possibile il venire all’essere di nuove realtà ben più forti dei meri giudizi di valore.

Il Ventunesimo Secolo sembra essere più scettico riguardo al progresso rispetto ai secoli precedenti. L’idea di progresso non contraddistingue la nostra epoca come invece accadde per l’Ottocento. Cosa diresti riguardo all’idea di progresso nel nostro tempo? C’è progresso o regresso? Quali idee e credenze caratterizzano la nostra epoca?


È indubbio che dopo la grande ubriacatura illuministica del Settecento e quella positivistica dell’Ottocento, il Novecento abbia cozzato violentemente contro la vera essenza del progresso. Il XXI secolo è quello della presa di coscienza che, di seguito al trauma, comincia a rimettere insieme i ricordi e a capire cosa è successo e sta ancora succedendo. Come ho accennato nella risposta precedente, il progressismo ha dovuto mettere in salvo i cascami, le macerie dei vecchi valori. Si tratta di una dinamica sempre più chiara anche agli stessi progressisti, i quali, spesso concordando con papi e sacerdoti altrettanto progressisti, arguiscono che le grandi promesse dell’illuminismo e del positivismo altro non erano che le promesse della vecchia religione a cui però erano state sottratte Dio e la mistica, ritenuti ormai relitti del passato. Nietzsche, se fosse vivo, direbbe, sbagliando, che i progressisti di oggi si nascondono tra le ossa del Dio morto. Lo scetticismo verso il progresso aumenta perchè le domande e le angustie a cui il progresso e l’illuminismo si sforzavano, da posizioni laiche, di rispondere, erano domande ed angustie di carattere eminentemente teologico ed esistenziale. Illuminismo, positivismo e progressismo intendevano rispondere e risolvere questi problemi in maniera scientifica e razionale, Marx chiedeva a gran voce di smettere di criticare il cielo e cominciare a criticare la terra. I problemi però non sono stato risolti: ragione e metodo scientifico sono eccellenti strumenti per risolvere problemi hic et nunc, sulla terra. Per le angustie e le esigenze dell’anima, semplicemente, non funzionano. Il vecchio pensiero religioso, ricevuto dai padri, è stato gettato alle ortiche da un Occidente adolescente e refrattario ai precetti, spesso ricevuti con durezza arbitraria dai padri, ma venendo a maturazione anche l’Occidente capirà, come ogni adolescente, che alla fine i genitori avevano ragione. La crisi del progresso è anche il tramonto dell’adolescenza spirituale dell’Occidente e segna il passo al suo accesso verso una maturità filosofica e spirituale che, in ogni caso, arriverà dopo un lungo travaglio.

I movimenti politici che caratterizzano l’Europa di oggi provengono da destra oppure la sinistra è ancora capace di far valere la sua influenza? L’Europa oggi è a destra? Si dice che la destra stia sorgendo in Europa, che cosa ne pensi? Che cosa significa destra e sinistra oggi? C’è ancora una destra e c’è ancora una sinistra come sosteneva Bobbio?


Risponderò a questa domanda partendo dalla fine. Che cosa significa oggi Destra? Che cosa vuol dire essere di destra? Per Norberto Bobbio la distinzione cadeva attorno alla nozione di eguaglianza. Per il progressismo, che è figlio della Rivoluzione Francese, l’Égalité è un obbiettivo da conseguire, per il pensiero liberale è una condizione da garantire in partenza ma all’arrivo saremo premiati secondo le nostre abilità e capacità nel competere, per la Destra invece l’eguaglianza è, almeno sul piano politico una deviazione, una perversione, una contraddizione in termini. Sinistra e liberalismo insomma contengono entrambi una valenza positiva dell’eguaglianza. Qui Bobbio sembra convenire con Adriano Romualdi il quale affermava senza mezzi termini che “Esser di Destra significa, in primo luogo, riconoscere il carattere sovvertitore dei movimenti scaturiti dalla rivoluzione francese, siano essi il liberalismo, o la democrazia o il socialismo”. La parola sovvertitore, utilizzata da Romualdi, è a mio giudizio corretta. Si può sovvertire solo qualcosa che è già nell’essenza della cose: il pensiero di destra, come ho già accennato prima, difende e conserva la realtà. In tal senso, rispondendo a ritroso alla domanda, direi che non esistono in questo momento in Europa partiti e forze politiche autenticamente di destra. Esistono certamente forze politiche nelle quali, carsicamente, riemergono e si inabissano sotterraneamente alcuni elementi del pensiero di destra, ma siamo lontani dal poter definire alcuna forza politica europea come puramente di destra. La situazione, più che alla forza dei progressisti, che comunque è ancora notevole, la ascrivo principalmente alla scarsa dimestichezza dei conservatori stessi nei confronti della nuova prospettiva nichilistica che ci aspetta. Ci si è riempiti la bocca di valori per troppi decenni per rinunciarvi ora così a cuor leggero.

Che cosa pensi della woke culture, che sta sempre più sfidando tutte le culture nazionali? I movimenti nazionali conservatori avranno successo nella loro lotta contro la cultura woke? C’è, nell’Occidente di oggi, una Kulturkampf tra i movimenti identitari che stanno sorgendo e la cultura woke?

All’inizio dell’inverno appena concluso, in una conferenza che ho tenuto a Bratislava proprio su questo argomento, ho paragonato il cosiddetto wokism a quello che in Cina è stata la Rivoluzione Culturale. Diversamente dal marxismo ortodosso, il wokism che dilaga nel mondo Occidentale è un progressismo pienamente integrato nei meccanismi della società liberista. Eredita da Mao il concetto di rivoluzione permanente ed il pervicace furore antireligioso, entrambi concetti che possono coniugarsi perfettamente, almeno a breve termine, con un orientamento liberista dell’economia. Alla confluenza improbabile, eppure verificatasi, di questi strani e diversissimi fiumi, troviamo il wokism, che altro non è che la versione condensata e riassunta (come ai tempi lo era il libretto rosso per il maoismo) della dottrina neocon del cosiddetto “Caos creativo”, fatta di continua distruzione e riassemblamento della storia. In questa prospettiva, la parentela tra la distruzione dei monumenti e delle statue cinesi dedicate a Confucio, a Laozi o ai lama tibetani e quelle che hanno visto protagoniste le statue di Cristoforo Colombo e del generale Lee appare evidente. Si tratta della medesima cosa. Personalmente non so rispondere alla domanda su chi vincerà la guerra culturale, che esiste, tra movimenti conservatori e centrali di pensiero woke, ma posso dire con certezza che quest’ultimo non ha futuro ed è destinato ad una fine ingloriosa. In Cina la Rivoluzione Culturale terminò perchè stava andando ad erodere le basi dell’esistenza stessa dello stato e delle famiglie, portando il regime a divorare sè stesso, indebolendosi così nell’arena internazionale delle potenze. Credo che il wokism finirà in pensione per gli stessi motivi. Il wokism si configura come una tavola di valori belligena e aggressiva, ma l’acido che secerne finisce per dilavare le fondamenta delle stesse società e potenze che se ne fanno uso. Lo vediamo molto bene oggi dove l’Occidente sembra incapace di rinunciare al suo edonismo nel nome di una crociata contro la Russia che richiamerebbe i popoli ai doveri di una vita austera e volta al patriottismo aggressivo. Ma non si può avere tutto, o si è woke o si è soldati e patrioti, le due cose sono antitetiche l’una con l’altra. Scegliendo il wokism l’Occidente sceglie la debolezza; quando la generazione di attuali politici occidentali, ovvero persone che frequentavano l’università ai tempi della Rivoluzione Culturale e delle lotte studentesche, sarà andata in pensione, credo che vedremo la fine anche dell’attuale wokism, sarà un tramonto dettato dalla necessità più che da un esito di una battaglia filosofica e culturale.

Oggi la percezione della normalità nelle società è stata considerevolmente scossa. E’ difficile trovare regole generali e oggettive, norme e valori che possano applicarsi in tutta la società. In particolar modo, gruppi di attivisti e minoranze stanno duramente lottando per trasformare le loro norme in norme generali per tutti. Mi piacerebbe conoscere la tua opinione riguardo a questi fatti.

In parte credo che valgano le considerazioni espresse prima. La mancanza di normalità, la decadenza del concetto di norma e l’ascesa di una prospettiva “fluida” per tutto ciò che concerne l’identità sociale (sia personale sia di gruppo) e i rapporti tra le persone sono figlie di un periodo storico concluso. La caduta di tutti questi princìpi è figlia dell’orizzonte post-istorico ed economicistico immaginato da Francis Fukuyama alla caduta del muro di Berlino nel 1989. Uomini e donne cresciuti in società di questo genere sono eccellenti consumatori ma pessimi cittadini e soldati. Ciò non sarebbe un problema se vivessimo ancora nel momento unipolare a trazione statunitense senza pericoli all’orizzonte, ma l’Occidente ha ormai una lunga serie di nemici ai suoi confini. Far finta di non vedere tutto ciò non cambierà la situazione. Quando si tratterà di difendere l’Occidente quest’ultimo avrà più bisogno di soldati che di consumatori, necessiterà più di cittadini coesi da idee mobilitanti e da famiglie numerose piuttosto che di atomi votati solo al conseguimento di piaceri fisici momentanei. Quando ci si renderà conto di tutto ciò anche il concetto di limite e norma torneranno a regnare anche in Occidente, ma prima è necessario che la vecchia casta politica figlia delle contestazioni studentesche e cementatasi poi al potere durante il momento unipolare vada in pensione. Si tratta di una camarilla di politici e tecnici ormai incapaci di inquadrare il mondo nella sua nuova complessità e che credono di poter rispondere alle nuove sfide del presente con gli slogan dei tempi dell’università o con i diktat dei manuali dell’economia, una follia in un momento in cui l’intero globo, da Israele ai paesi musulmani, dalla Cina all’India, passando per la Russia e i paesi africani, sta riscoprendo le radici identitarie e religiose delle sue civiltà. Il fatto che l’Occidente sia l’unica civiltà senza Dio e senza identità è che al contempo sia anche l’unica civiltà in declino non credo si possa ascrivere al caso.

Generalmente si pensa che la sinistra abbia un’egemonia nei campi della cultura e dell’arte mentre la destra non investa in questi ambiti tanto quanto fa nell’economia nella politica. Pensi sia così?


Ritorniamo qui al discorso affrontato in precedenza. La Destra, che pure sarebbe l’erede designata del romanticismo filosofico e politico, sembra essersi dimenticata del suo status. Paradossalmente ha invece interiorizzato dettami e dogmi tipici del liberalismo. L’idea che ogni cosa si misuri in base al suo valore economico, la professione come cartina tornasole della posizione di un determinato uomo nella società, il darwinismo sociale cinicamente ostentato di fronte ai meno fortunati, sono tutti elementi che hanno attecchito a destra ma che non ne costituiscono l’essenza, sono incrostazioni estranee che nulla c’entrano con la vera matrice comunitaria e metapolitica della destra conservatrice. Di fronte a questa prospettiva, cultura, arte, filosofia, e in generale tutto ciò che è relativo all’ambito del pensiero appare, a molti uomini della “destra” di oggi come una perdita di tempo, come un’abdicazione vigliacca di fronte alle materiali esigenze dell’economia e del denaro. Si realizza così il buffo paradosso per cui il genitore di destra non ha le capacità di educare culturalmente i propri figli, che saranno così indottrinati dalla scuola progressista. Occorre ribaltare questo paradigma. Tutto passa dalla parola, e di conseguenza dal pensiero.

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