Giovanni Sessa: Wagner mirò a unire arte e vita, cercando di ricongiungere, con un’arte rivoluzionaria, ciò che il soggettivismo moderno aveva separato

Richard Wagner non era solo un compositore, ma anche un filosofo e un rivoluzionario con profonde riflessioni sull’arte, la religione e la cultura. Combinando musica e mitologia, le sue opere divennero un simbolo di risveglio artistico e intellettuale sia in Germania che in tutta Europa. La poliedrica influenza di Wagner è stata fonte di ispirazione soprattutto per gli intellettuali della Rivoluzione conservatrice e per coloro che cercavano una sfida estetica e filosofica alla modernità. Abbiamo parlato di Wagner con Giovanna Sessa.

Può presentarsi a noi?

Sono nato a Milano nel 1957, attualmente vivo a Frascati (RM). Ho insegnato filosofia nei Licei e ho collaborato, all’Università «Sapienza» di Roma, con il prof. Gian Franco Lami, indimenticato amico e maestro. Sono stato, inoltre, docente a contratto  di “Storia delle idee” presso l’Università di Cassino. Miei scritti sono comparsi su riviste, quotidiani, in volumi collettanei e Atti di Convegni di studio. Ho curato, tradotto e prefato decine di volumi. Tra le mie ultime pubblicazioni, Oltre la Persuasione. Saggio su Carlo Michelstaedter (Roma, 2008); La meraviglia del nulla. Vita e filosofia di Andrea Emo (Milano, 2014); Julius Evola e l’utopia della Tradizione, (Sesto S. Giovanni (Mi), 2019); L’eco della Germania segreta. “Si fa di nuovo primavera”, (Sesto S. Giovanni (Mi), 2021); Azzurre lontananze. Tradizione on the road, (Sesto S. Giovanni (Mi), 2022); Icone del possibile. Giardino, bosco, montagna (Sesto S. Giovanni (Mi), 2023). Per quanto attiene a Wagner ho curato, R. Wagner, Religione  e arte (Sesto S. Giovanni (Mi), 2021); E. Schuré, Richard Wagner, (Sesto S. Giovanni (Mi), 2021); R. Wagner, L’ideale di Bayreuth (Sesto S. Giovanni (Mi), 2024). Sono Segretario della Fondazione Julius Evola.  

Conosciamo l’importanza di Kant e Hegel nel pensiero tedesco, ma qual è l’importanza di Wagner per la Germania? È possibile parlare di una “gioventù wagneriana” come quella di Goethe e perché la Germania non ha scelto di fondare un Istituto Wagner invece dell’Istituto Goethe? 

Richard Wagner ha fornito, non solo alla Germania, ma all’Europa, un contributo teorico e artistico a un tempo, dal valore inestimabile. L’humus ideale del suo percorso, era sostanziato dal pensiero tedesco a lui contemporaneo. Tale iter creativo e speculativo è stato, lo si tenga in conto, molto complesso e articolato. Ha conosciuto, infatti, diverse fasi di sviluppo. Karl Löwith ha mostrato in modalità inoppugnabile nel suo, Da Hegel a Nietzsche, che l’esperienza musicale e teoretica del wagnersimo si lega al mondo ideale della Sinistra hegeliana, al vasto movimento culturale che, di fatto, ebbe il suo momento apicale in Nietzsche, filosofo che concluse la “dissoluzione dell’hegelismo”. Nella seconda fase della produzione wagneriana, maturata durante il soggiorno zurighese e a Dresda, il grande artista era soggiogato dallo spirito rivoluzionario di Feuerbach. A tale fase sono ascrivibili la composizione del Tannhäuser, del Lohengrin e la stesura poetica della Tetralogia. Con tali opere, il grande musicista cercò, con poderosa energia, d’identificare arte e vita, tentò di dare vita a un’arte “rivoluzionaria”, atta a ricongiungere ciò che il soggettivismo moderno aveva diviso.

La produzione del Meister ha avuto, da allora, al proprio centro il tema, tipicamente tedesco e schopenhaueriano della Regenerationslehe, della rigenerazione spirituale del popolo tedesco e dei popoli europei. Tale appello alla Ri-nascita, a un Nuovo Inizio della storia, coinvolse giovani e non giovani in tutte le nazioni del nostro continente. L’erezione del nuovo teatro di Bayreuth fu portata a termine grazie ai contributi (anche economici) forniti da appassionati wagneriani, aderenti alle Associazioni che portavano il nome del compositore. I “giovani” fedeli a Wagner non fecero altro che rendere esplicito ciò che era implicito nell’etimo di Bayreuth: Reut, infatti, allude a un “suolo conquistato alla selvaggia foresta e reso fertile”, produttore di un avvenire avente la propria radice in un passato incompiuto, “inespresso” lo avrebbe definito Walter Benjamin. Il lascito wagneriano si è perpetuato fino agli autori della Rivoluzione Conservatrice, tanto in quelli che non aderirono al nazionalsocialismo, quanto in quelli che confluirono in tale movimento. Pertanto, è certamente esistita, al pari di quella “goethiana”, una “gioventù wagneriana”. Per comprendere per quali ragioni non è stato istituito in Germania un “Istituto Wagner”, è bene ricordare quanto accadde alla fine del Secondo conflitto mondiale. I tedeschi furono sottoposti a un vero e proprio “lavaggio del cervello”, mirato a cancellare la loro memoria storica e quella degli Europei. L’esercitò americano occupò il teatro di Bayreuth e vi fece rappresentare music-hall. Poco   prima, il generale Patton fece urinare i soldati del battaglione che comandava nel fiume Reno, centrale nella mitologia wagneriana. Fu un gesto desacralizzante e provocatorio nei confronti del musicista e della Kultur tedesca ed europea.

Perché Wagner si interessava al Medioevo, mentre molti intellettuali si rivolgevano all’antica Grecia e a Roma ai suoi tempi?

L’interesse di Wagner per il Medioevo è stato ben spiegato dal germanista Marino Freschi che, in proposito, ha scritto: «Wagner tornò a un’esperienza laterale del cristianesimo: a quella del Graal, il grande mistero cristico che animò l’intero Medioevo cristiano-germanico […] Il messaggio recuperato da Wagner è quello di un salvatore che elude la consunzione della critica materialistica avanzando verso un sentiero appena accennato che in quegli anni venne riproposto dalla Teosofia e soprattutto da Rudolf Steiner (in Italia da Evola e Massimo Scaligero)» (Wagner e l’arte sublime che salva la religione, in «il Giornale» del 02/04/2021). Di contro, va ricordato che il primo Wagner guardò con interesse al mondo pre-cristiano e alla Grecia: lo mostra, con tutta evidenza, la grammatica musicale del Tristano e Isotta. In questa partitura wagneriana tornò a mostrarsi, come tra i primi sostenne Giorgio Locchi, la visione aperta della storia centrata sulla concezione tridimensionale e sferica del tempo, visione rinviante alla potestas dionisiaca. Qui la musica di Wagner è latrice di una visione del mondo anti-egualitaria atta a sviluppare la sfida alla modernità e alla post-modernità, non in termini meramente reazionari, mossa dal rimpianto nostalgico per un tempo che non è più, ma in termini attivi, nella convinzione che l’origine non sia un dato retroflesso, posto definitivamente alle nostre spalle, ma per definizione sempre possibile, come chiarito da Klossowski. L’illustre musicologo Paolo Isotta, nella splendida prefazione al libro di Locchi, ha ricordato come la musica, venuta a predominare in Occidente all’avvento del cristianesimo, fosse monodica in senso assolutistico. Solo nel tardo Medioevo si manifestò l’emergere di tendenze polifoniche che, nel mondo antico, nonostante le incertezze storico-filologiche in tema, erano state registrate nel Somnium Scipionis da Cicerone. Nelle pagine di quest’opera, citando le fonti platoniche (Resp. X, 616-617; Tim., 34b-40d) si dice: «della risonanza simultanea di suoni differenti, accordati da una mente divina».

In tal senso la polifonia medievale fu una ri-scoperta delle genti del Nord Europa: essa pose in musica i sedimenti spirituali giacenti nel loro inconscio collettivo, a seguito dell’erompere della visione giudeo-cristiana della vita. Commenta Isotta: «La musica moderna dell’Europa Occidentale, come la tragedia greca, nasce dal popolo». Per Locchi il sentimento armonico tonale, polifonico, era innato nei popoli nordici e, dopo il Medioevo, esplose dapprima nella scuola polifonica fiamminga, anche se la sua fioritura si registrò nel sedicesimo secolo in Italia e, da lì, trovò ulteriore slancio nella musica che da Bach giunge a Wagner.

L’elemento più rilevante dell’esegesi locchiana della musica tonale va individuato nel fatto che essa tradusse in partitura la concezione del tempo propria dell’uomo dell’età classica. Le altre tipologie musicali sono centrate sulla concezione lineare, futuro-centrica, della temporalità. Canto gregoriano incluso. In esse: «ogni nota è un punto isolato nello spazio sonoro, preceduta e seguita da un altro punto […] Ma in qualunque brano di musica tonale, la nota (l’istante) non significa di per sé». Ogni nota contiene le note (istanti) precedenti che l’hanno determinata, ma contiene, a sua volta, quelle successive che, da essa, saranno indotte: «Ogni nota (ogni istante), in quanto presente, contiene dunque in sé il passato e l’avvenire». La Fuga e la Sonata sono distese nel tempo tridimensionale e sono, su di esso, strutturate. La musica può diventare il paradigma di una  concezione non deterministica della storia, aliena dalla secolarizzazione della visione cristiana del tempo, e quindi altra rispetto alle varie declinazioni che la filosofia della storia ha assunto dal secolo XIX ad oggi. Se il mondo post-moderno è il risultato ultimo dell’immanentizzazione del fine della storia cristiano, è necessario tornare a guardare alla physis classica, al fine di sottrarsi alle lusinghe della speranza e della disperazione. La storia, come la musica tonale, non ha un fine, né una fine, è sempre “aperta”, appesa al fondameto-infondato della libertà.

Con Wagner il sentimento del mondo implicito nella musica tonale divenne proclamazione mitica. Per Locchi e Isotta: «il complesso di opere che va dal Tristano al Parsifal è il più alto monumento che l’umanità abbia eretto in tutta la sua storia», per di più, per chi sappia ascoltare e leggere, caratterizzato da ineguagliabile coerenza. Il mito, infatti, è centrato sull’unità dei contrari, ma tale comprensione può essere rilevata solo dall’ascoltatore o dal lettore che sia atto a partecipare del disvelamento mitico: «A chi resta fuori, il mito offre sempre un’ultima ambiguità». Riteniamo corrispondente al vero il fatto che Wagner, soprattutto nel Tristano, si sia fatto latore della visione tridimensionale del tempo e della concezione sovraumanista, che le fa da correlato, ma pensiamo che successivamente Wagner sia venuto meno ai presupposti di partenza, come compresero Nietzsche ed Evola. Ciò avvenne, tanto sotto il profilo musicale, quanto dal punto di vista filosofico e politico, come attesta il volume Religione e arte  del Meister.  

Riteniamo, comunque, che in sequela con il primo Wagner, la musica europea, abbia proseguito il proprio cammino verso la Nuova Essenzialità e verso la costruzione di un’arte davvero dionisiaca, con Gustav Mahler.Tale tendenza si manifestò, in particolare, nella Terza Sinfonia del grande compositore austriaco. 

Qual è il rapporto tra rivoluzione e arte nel pensiero di Wagner? Intendeva sostituire la religione e l’arte?

Per rispondere alla sua domanda è necessario far riferimento al volume citato, Religione e arte. Si tratta di una silloge di scritti che Wagner scrisse nel medesimo periodo in cui era intento alla composizione del Parsifal. Più precisamente, i saggi che costituiscono questa raccolta sono sette, accompagnati dalle conclusive Annotazioni, nelle quali vengono presentati e commentati alcuni brani di colui che il musicista non si stancava di definire: «il nostro grande filosofo», Arthur Schopenhauer. Con questi scritti l’artista-pensatore si preoccupò, nell’ultimo periodo della sua esistenza terrena, di lasciare al mondo un messaggio positivo, relativo alla possibile Regenerationslehre, Rigenerazione spirituale e sociale, centrata sulla dottrina della Mitleid, della compassione schopenhaueriana. Si tratta del primo albeggiare, nella cultura tedesca, di un tema che per tutto il Novecento (in particolare nella sua prima metà) sarà al centro degli interessi della filosofia e dell’arte. Si pensi, tra i tanti possibili nomi, a  Stefan Geroge, Ernst Jünger, Martin Heidegger, Moeller van den Bruck. O anche a chi lambì, sia pure in modo critico, l’annuncio di un possibile Nuovo Inizio dell’uomo europeo. Mi riferisco a Walter Benjamin che, richiamandosi a Karl Kraus, pensò, nelle sue Tesi di filosofia della storia, l’origine quale meta cui tendere.

Nella pagine di Religione ed arte, la Rigenerazione avrebbe dovuto realizzarsi sia in Germania che a livello europeo, e fondarsi sulla critica della concezione utilitarista, economicista della vita che, allora, andava affermandosi attraverso il trionfo politico del liberalismo. Le tesi fondamentali di tale dottrina erano state presentate dal compositore solo al ristretto circolo dei suoi allievi e discepoli, animati da fedeltà indiscutibile verso la concezione della vita del Maestro e falangi di una radicale periagoghé, di un cambio di cuore, cui avrebbe dovuto far seguito una diversa visione del mondo che l’arte e, soprattutto, la musica, avrebbero annunciato. Il libro doveva, nelle intenzioni di Wagner, essere il manifesto programmatico del Nuovo Inizio.  

Lo scritto che dà il titolo al volume è quello inaugurale. L’ incipit rappresenta la sintesi delle posizioni dell’artista e contiene in embrione la risposta alla sua domanda: «Si potrebbe dire che, là dove la religione diviene artificiosa, sia riservato all’arte di salvarne il nucleo sostanziale». Da sempre, l’arte autentica, mediante la rappresentazione ideale dell’immagine simbolica, ha contribuito: «alla comprensione della sua intima sostanza (della religione), cioè della verità divina inesprimibile». La grandezza del cristianesimo è da ravvisarsi, stando a Wagner, nel fatto che il nucleo fondante la sua verità era destinato, ab initio, anche ai poveri in spirito, mentre altre religioni, in primis il brahmanesimo, che pur il Maestro apprezzava, rivolgevano il proprio messaggio ai ricchi in spirito, a coloro che camminavano di già sulla strada della conoscenza. Per cui, in India, la filosofia divenne l’ancella della religione nello spiegare metafisicamente il mondo, mentre nell’insegnamento del Cristo si chiedeva che i poveri in spirito non chiudessero i loro cuori alla consapevolezza della sofferenza. Eppure, presto il cristianesimo si era trasformato in una: «religione di stato per imperatori romani e carnefici di eretici». Sostanzialmente, il cristianesimo schopenhaueriano di Wagner si costituisce quale capovolgimento della volontà di vita. Questo mondo in cui domina l’imperativo: «Io voglio», venne considerato fallace,  atto semplicemente a rinviare gli uomini al vero Regno, quello di Dio.

La corruzione dell’originale messaggio cristico avvenne con: «con il collegamento, imposto con tirannica violenza, di questa divinità in croce con il Creatore del cielo e della terra ebraico […] il quale sembrò avere maggiore fortuna del misericordioso Salvatore dei poveri». Solo gli artisti ripudiarono il suo dominio e la negazione del mondo fu testimoniata nella rappresentazione del miracolo della maternità. Si pensi alla Madonna Sistina di Raffaello che, tenendo sollevato dalle sue braccia il figlio, mostra l’adempimento del miracolo divino. La Madonna, chiosa Wagner, non è più intoccabile, come si rileva dalla rappresentazioni scultoree di Artemide a causa della severa castità, ma in quanto espressione del miracolo scaturito dell’amore divino. La raffigurazione greca della natura, per dirla con Schopenhauer, rinviava ad un ideale cui la physis stessa non era giunta, era idealizzazione del naturale, mentre l’artista cristiano rivela il “segreto” del dogma religioso. La medesima tensione al disvelamento del vero, propria di Raffaello, è riscontrabile anche nel Giudizio universale di Michelangelo che: «rappresentò […] Dio che porta a compimento il suo terribile compito». A differenza della pittura, la poesia fu indotta a rimanere prossima a concetti fissati canonicamente: «Soltanto nella musica la lirica cristiana assurse a vera e propria arte […] scioglieva e diluiva le parole, insieme con i loro concetti, fino a cancellarne l’intelligibilità». Dissolta la parola concettuale, la musica determina la constatazione della nullità del mondo fenomenico, in quanto ogni immagine sonora è cosa altra dal mondo delle apparenze.

La musica, per il Meister, risentì in modo devastante della progressiva mondanizzazione della Chiesa, per cui solo la separazione dalla decadenza ecclesiastica riuscì a preservare il suono, quale pura eredità ancestrale. Il nucleo originario del cristianesimo  secondo Wagner fu contaminato dall’influenza dogmatica dell’ebraismo che, innanzitutto, si manifestò nel rendere meramente formale il detto cristico: «cibatevi solo di questo d’ora in poi, nel ricordo di me», vale a dire cibatevi di pane e di vino, dei beni spontaneamente concessi dalla terra. Tale indicazione discendeva dalla medesima intuizione brahmanica e pitagorica che tutto nel cosmo è uno: «quando il brahmano di fronte alla sterminata molteplicità delle forme del mondo vivente esclamava: “Questo sei Tu!”, si risvegliava subito nell’ascoltatore la consapevolezza della verità». Per Wagner Gesù è, in fondo, l’eroe dell’ultima cena, che invitava i discepoli a sentirsi fratelli, non solo dei propri simili, ma di tutto ciò che vive. Da tale intuizione, discende la strenua difesa wagneriana della pratica alimentare vegetariana. La Chiesa ha obliato tale insegnamento, in quanto fece ricorso all’ebraismo per la creazione dei propri dogmi: «da ciò tuttavia la Chiesa trasse la sua potenza e signoria». Con il che si è mostrato che, per Wagner, l’arte nell’epoca moderna doveva assumere tratto “religioso”, doveva divenire “Opera totale e definitiva”. In tale prospettiva, il musicista venne meno alla visione tragica, pre-cristiana, che aveva animato la partitura del Tristano. Il ritorno al “pensare greco” ha, pertanto, per chi scrive, tratto dimidiato.

Perché i rivoluzionari conservatori mostrarono tanto interesse per Wagner? In che modo Wagner influenzò i rivoluzionari conservatori?

I rivoluzionari conservatori che miravano a superare la contemporaneità sorta dopo il naufragio indotto dal Primo conflitto mondiale e intendevano portarsi oltre le derive meramente reazionarie, oltre la mera dimensione della nostalgia politica, non potevano che guardare a Wagner quale profeta di un Nuovo Inizio dell’Europa. In particolare, la poetica di Stefan George ha in Wagner e nella sua teoria dell’arte un precedente d’eccellenza. L’animatore del Kreis fu attorniato da uno stuolo di discepoli ammirati dal suo tentativo di ri-sacralizzazione poetica della vita. Il problema che si posero gli intellettuali del mileu rivoluzionario conservatore rispetto alle tematiche proposte dall’opera del musicista fu il seguente: a quale Wagner è necessario guardare, per rintracciarvi linfa vitale per il progetto politico-esistenziale rivoluzionario e conservatore?  George, Klages, Schuler, in parte i fratelli Jünger, guardarono al primo Wagner, latore, attraverso la musica tonale, di una visione “aperta” della storia e, pertanto, solo inizialmente si fecero abbagliare dagli idola del nazismo e successivamente vissero ai margini del regime hitleriano. Altri, sensibili alla teleologia e al messianesimo wagneriani, alla sua pretesa di aver realizzato con l’ “Opera totale” la “fine” dell’arte, aderirono all’etnocentrismo dell’ideologia nazionalsocialista che, per chi scrive, memore in tema della lezione di Alain de Benoist, non è affatto “pagana” ma monocratica e chiusa: “Un capo, un impero, un popolo”.

La divergenza tra Nietzsche e Wagner era un conflitto personale o una divergenza tra le due Germanie (Weimar e Terzo Reich)?

La divergenza tra i due fu determinata da una motivazione “ideale”, non riguardante  i valori incarnati dal II e dal III Reich. La divergenza si riferiva alla visone della vita e dell’arte del musicista e del filosofo. Nietzsche rimase fedele al tragico. Wagner, avendo aderito a una concezione salvifica della musica e della storia, sposò una rassicurante posizione finalistia. Divenne un ennesimo “filosofo e musicista della storia”. Al contrario, l’arte tragica ha sviluppo iperbolico, mai concluso, è sempre all’opera, come il principio animante ciò che vive, che si dà esclusivamente nella physis. L’approccio tragico è sempre aperto e contrasta con quello spirito filisteo che anche Wagner avrebbe voluto combattere. Fu proprio il “filisteismo” inconfessato di Wagner ad allontanare dal Maestro l’amico Nietzsche. A proposito delle prime rappresentazioni che si tennero a Bayreuth, il filosofo dell’eterno ritorno scrisse a Mathilde Maier, il 15 luglio 1878: «Nell’estate di Bayreuth divenni pienamente consapevole di tutto ciò; scappai via, dopo le prime rappresentazioni cui ebbi assistito, lontano sui monti». Insomma, per dirla ancora con Nietzsche: «Wagner passo passo aveva accondisceso a tutto ciò che io disprezzo…Perfino all’antisemitismo […] Wagner […] piombò improvvisamente, come un derelitto e affranto, ai piedi della croce cristiana». Tali considerazioni non impedirono a Nietzsche di scrivere, in una missiva indirizzata a Franz Overbeck del 7 aprile 1884, nella quale si legge: «per parecchi rispetti sarò l’erede di Wagner», riconoscendo così la grandezza del genio del musicista, ma anche la sua alterità rispetto al compositore, data da la sua autentica fedeltà al “pensare greco”.

Quale posizione assunse Richard Wagner nei confronti dell’opera italiana? Che ruolo ha avuto questo rapporto nel plasmare il dramma musicale e nel glorificare la tradizione musicale mitteleuropea?

Il compositore amava molto l’Italia: in diverse città trovò ispirazione e pace per comporre. A Venezia (dove morirà) scrisse parte del Tristano, a La Spezia ebbe in sogno l’ispirazione per il preludio della Tetralogia, a  Ravello  e nel Duomo di Siena immaginò scene del Parsifal, che portò a termine a  Palermo. Nel 1859 simpatizzò per il Piemonte contro l’Austria, in occasione della Seconda guerra d’indipendenza. Il 1º novembre 1871 venne eseguita la prima del Lohengrin al Teatro Comunale di Bologna, prima rappresentazione in assoluto di un’opera di Wagner in Italia. A una delle repliche assistette Giuseppe Verdi che, dopo la prima dell’Aida, venne ingiustamente accusato dalla critica di essere un wagneriano e di aver, pertanto, tradito i canoni compositivi ed orchestrali dell’opera italiana. Questo fatto rende edotti sui rapporti intercorsi tra il tedesco e l’opera italiana. Rapporti controversi, attraversati da odio-amore, attrazione-repulsione. Wagner, nel suo tentativo di ricostruire una storia del pathos teatrale nei saggi contenuti in, L’ideale di Bayreuth, attribuisce agli italiani la primazia nell’aver riscoperto il valore del teatro classico. Ciò  avrebbe indotto la nostra cultura a mettere da parte il dramma recitato, per provare a ricostruire il dramma antico nel campo della lirica musicale. Tale tentativo avrebbe dato luogo, infine, alla nascita dell’opera italiana. Il modello al quale, in realtà, Wagner guarda per definire i tratti dell’Opera d’arte totale non è ravvisabile, a mio parere, sic et simpliciter, nell’opera italiana, ma nel teatro di Shakespeare, con la sua valorizzazione del mimo. Peraltro, tale opera totale richiedeva, ai fini della rappresentazione, un ambiente ben diverso da quello della sala teatrale italo-francese. Pertanto, è possibile asserire che, effettivamente, il genio di Bayreuth guardò all’opera italiana, ma non certo come suo modello di riferimento privilegiato. A parere di chi scrive, il confronto di Wagner con la musica e il teatro delle età precedenti e con quelli prevalenti nell’epoca in cui visse, fu a tutto tondo. In tale approccio è da individuarsi lo strumento con il quale egli tentò di ri-vitalizzare la tradizione musicale europea.

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