Gianfranco De Turris: Il punto in comune che unisce Evola e Tolkien è l’antimodernismo

Per quanto Tolkien, figura di spicco della letteratura fantastica, ed Evola, esponente di rilievo del pensiero tradizionalista, possano sembrare inizialmente molto lontani, il percorso intellettuale di Gianfranco de Turris costruisce ponti significativi tra questi due ambiti. Con Turris abbiamo affrontato numerosi temi, dai punti di intersezione tra Tolkien ed Evola, al potenziale del fantastico di creare un “mito secolare”, fino agli effetti mitopoietici dell’era digitale e al ruolo di Tolkien nella destra italiana.

Potrebbe presentarsi brevemente e raccontarci come è nato il Suo interesse per la letteratura fantastica?

Un po’ difficile presentarsi in sintesi per una persona che scrive pubblica lavora da oltre 60 anni avendo cominciato a farlo nel 1961, e che ha accumulato alle sue spalle tantissime esperienze. Posso dire che ha curato l’edizione italiana di centinaia di volumi (tra cui l’opera omnia di Julius Evola) scrivendone spesso le introduzioni, che ha diretto collane di libri di fantascienza e occulto, che ha fatto il giornalista sia per la carta stampata (quotidiani e riviste) sia per la Rai, cioè l’ente pubblico che si occupa di radio e televisione in Italia, lavorando al  Giornale Radio dove è stato 25 anni e ha ideato e condotto trasmissioni culturali, che ha scritto oltre venti libri di saggistica e narrativa, che ora  dirige una rivista dedicata all’Immaginario e che ha fatto molto altro che non ricorda più…

Posso dire che la mia passione per la letteratura fantastica è sempre esistita: sin da ragazzino  preferivo leggere Jules Verne che Emilio Salgari ed è continuata così per tutta la mia vita, accesosi nel 1957 quando mi fu regalato Destinazione Universo curato da Piero Pieroni per Vallecchi e poi concretizzatosi   ani dopo quando comincia a scrivere racconti e articoli a 16 anni quando ero al liceo. Il motivo era semplicemente quello che per molti è un fatto negativo, cioè la cosiddetta “fuga dalla realtà”:  il mondo che mi circondava non mi piaceva affatto sin da piccolo e ne ho cercato uno migliore, il che non è per nulla disdicevole come proprio Tolkien spiega precisamente nel suo saggio Sulle fiabe scritto per replicare alle critiche che gli vennero fatte quando uscì il suo Lo Hobbit nel 1937. 

Inoltre, quel che interessava soprattutto a me e al mio collega e amico di una vita, Sebastiano Fusco, era quella di elevare il tono della fantascienza e del fantastico non più da considerare come letteratura di Serie B o addirittura di Serie Z , e per ottenere questo negli anni Settanta per le collane “Futuro” e “Orizzonti” da noi create per l’editore Fanucci di Roma abbiamo scritto un centinaio di saggi, non semplici brevi introduzioni, da premettere ai romanzi e alle antologie da noi curate in cui si utilizzava per la prima volta in Italia il metodo simbolico per interpretarli e valorizzarli, cioè quello derivato dall’uso dei sistemi   di pensatori quali Mircea Eliade, Joseph Campbell, Julius Evola, René Guénon, Otto Rank e altri, cosa fino a quel momento mai fatta in Italia e a quel livello e che suscitò stupore ma anche moltissime critiche stranamente di tipo “politico”…Però dopo  una quarantina di anni possiamo dire di aver raggiunto il nostro obiettivo, quello di aver portato la letteratura dell’Immaginario nel suo complesso allo stesso livello di apprezzamento e accettazione di quella “realistica”. Tanto è vero che negli anni scorsi sono stati  pubblicati un paio di volumi con “il meglio” di questi nostri saggi.

 In che modo il Suo  percorso   si   incrociato con quello di Julius Evola e, da esponente della corrente tradizionalista, quale approccio aveva Evola verso la narrativa fantastica?

Al fondo di questa domanda, come spesso mi è capitato, c’è la implicita richiesta di una   del mio contemporaneo interesse per la letteratura fantastica e il tradizionalismo impersonato da Evola.

Ho scoperto le sue opere nel 1968-69 quando cominciarono a essere ristampate dalle Edizioni Mediterranee perché in precedenza erano praticamente introvabili,  e ne sono rimasto folgorato. Poi Adriano Romualdi mi condusse a casa sua e lo conobbi di persona e lui mi prese a benvolere, e io in sostanza sono stato quello che è riuscito a intervistarlo più di tutti  nell’arco degli anni restanti della sua vita, cioè fino al 1974. La prima intervista uscì nel 1970 e poi seguirono le altre (tutte  riunite in volume) che lo hanno per così dire “popolarizzato” in un certo ambiente, altrimenti sarebbe rimasto nel ghetto dei suoi fedelissimi che non sempre sono i migliori, dato che spesso hanno – lo dico senza infingimenti –  i paraocchi e tendono a considerarlo come “cosa  loro”.

 E che legame c’è con il fantastico dal mio punto di vista? In sostanza , come ho sempre detto, ritrovai nelle opere di Evola i valori, sottolineo i  valori, che si trovavano (e avevo trovato) nella migliore letteratura fantastica, cioè nella cosiddetta “fantasia eroica”,   nelle saghe, nell’epica, da qui il collegamento, che è un collegamento come ripeto valoriale  e non certo di argomenti ( vedi ad esempio i valori espressi nel Signore degli Anelli).

L’approccio di Evola al fantastico era ben particolare: a lui interessava non il genere letterario in sé ma solo quello che aveva un   o un contenuto esoterico o occulto. Ad esempio provai a farli leggere Lovecraft ma non lo impressionò affatto dato che secondo lui non possedeva questo retroterra, mentre invece era estremamente interessato e appassionato a Gustav Meyrink che  lo possedeva e lo utilizzava sempre nei suoi romanzi, occulti e fantastici insieme. Tanto è vero che fu proprio lui a  tradurlo in Italia negli anni 40. Interesse rimastogli nel tempo,  tanto è vero che mi invitò a collaborare insieme a lui al Cahier de l’Herne dedicata appunto a  Meyrimk  anche se il volume uscì solo dopo la sua morte, se non ricordo    male.

Secondo Lei, la letteratura fantastica  contemporanea sta davvero costruendo un “mito  secolare” e quali differenze intravede tra   nuovo racconto e i miti religiosi  tradizionali?

La definizione di “letteratura fantastica”  è molto generica soprattutto oggi, e comprende di tutto e di più e le cose maggiormente strampalate  ed eterogenee fra loro.  Per costruire un “mito secolare” come lei dice credo che sarebbe necessaria una letteratura fantastica assai più uniforme e unidirezionale di quella esistente. Non credo quindi che possa realizzare quel “mito secolare” di cui lei parla, e quindi la differenza tra passato e presente sta proprio in questi due aggettivi: secolare di oggi è religioso di ieri che sono uno l’opposto dell’altro e quindi un “mito secolare” potrebbe realizzarsi solo se la letteratura fantastica mondiale avesse delle basi comuni, delle prospettive comuni, degli scopi comuni, anche semplicemente indiretti e non esplicitati, il che a me pare non esista perché è totalmente indipendente a seconda dei singoli paesi in cui viene prodotta e la letteratura fantastica di lingua inglese è assai diversa da quella di lingua francese o tedesca o addirittura italiana dove peraltro i luoghi di pubblicazione sono estremamente scarsi.

Paradossalmente, però, quanto ho appena affermato può avere un risconto a contrario: quel che la letteratura non sembra riuscire a ottenere, in un certo senso lo ha ottenuto la cinematografia con le sue saghe, vale a dire una storia di tono epico ad ampio raggio con basi simboliche: penso a Star Trek ma soprattutto a Guerre Stellari che non è un caso abbia come sottofondo le teorie e le idee dello studioso di religioni Joseph Campbell . E Guerre Stellari con le sue molteplici trilogie, che hanno influenzato almeno due o tre generazioni di spettatori, ha probabilmente ottenuto un risultato che  per la letteratura era inimmaginabile. A parte ovviamente l’opra complessiva di J.R.R. Tolkien che è sterminata e si presenta in fondo come una cosmogonia e che, appunto nelle intenzioni del professore, doveva  servire da mito fondante per il suo Paese che secondo lui ne era privo. Chissà, forse qualcosa di simile a quel “mito secolare” di cui lei parlava… 

Il Signore degli Anelli fu adottato prima dagli hippy e oggi è apprezzato da pubblici più secolarizzati: come si spiega che un   cattolico e conservatore come Tolkien trovi  riscontro in lettori così diversi?

Appunto proprio  per la parola da lei usata! Da considerare però nella sua etimologia greca originaria, dove katholikos significa “universale”, come ho spesso ricordato negli anni passati. Tolkien è apprezzato da tutti proprio perché è un autore universale, affronta temi e valori universali e i suoi  libri sono tradotti in una trentina di lingue. Il che vuol dire che non parla solo ai   “occidentali”. Nei suoi personaggi ognuno ci si può identificare in qualunque cosa  creda.  Non per nulla si lamentava “del mio deplorevole culto  ”!

 E’ il caso di notare in questa occasione come quando il capolavoro tolkieniano  uscì in Italia, ormai oltre mezzo secolo fa nel 1970  , venne aggredito dalla cultura progressista capeggiata da Umberto Eco per una serie di motivi di fatto dato che trattava di un’era   medievaleggiante e quindi oscurantista in quanto a valori, e perché era stato pubblicato  da un editore considerato “di destra” come Rusconi, e curato da intellettuali altrettanto  di destra come venivano considerati Alfredo Cattabiani, Quirino Principe ed Elèmire Zolla. E un intellettuale come Walter Pedullà giunse a dire che bisognava creare un “cordone sanitario” intorno a Rusconi…

 Questo, chiamiamolo fuoco di sbarramento preventivo  fece sì, come poi  testimoniarono in molti, che i ragazzi di sinistra se lo dovessero leggere di nascosto, mentre quelli di destra lo “adottarono” come dissi (non certo lo “strumentalizzarono” come vennero ingiustamente accusati di fare, perché non si “strumentalizza” quello in cui ci si riconosce) e come storia avventurosa ma anche come mito e simbolo, tanto è vero che alla fine del decennio organizzarono in estate i Campi Hobbit, che non erano certo campi paramilitari come vennero accusati all’epoca e fu dimostrato che non era così,  e nacque un complesso musicale attivo fino a pochissimo tempo fa che si chiamò “La Compagnia dell’Anello”. Tanto la giovane destra di allora era stata colpita e influenzata dall’immaginario tolkieniano  ….

Ritiene   che Il Signore degli Anelli rappresenti in chiave simbolica la Seconda  guerra mondiale, la teologia cattolica o qualcos’altro? Quale interpretazione considera più convincente e perché?

Il Signore degli Anelli è sempre stato oggetto di interpretazioni complessive, ma tanto per cominciare lo stesso autore negava che ci fosse una allegoria della Seconda Guerra Mondiale, ad esempio Sauron come Stalin, ipotesi che era stata avanzata da qualcuno.  In genere però e in modo assai banale il romanzo viene considerato come la rappresentazione della lotta fra il   Bene e il Male, ma a mio parere come ho sempre detto, non è così: si tratta essenzialmente della contrapposizione concreta e simbolica tra il Potere benefico e quello malefico, tra il Potere positivo e quello negativo (Tolkien non era né un anarchico né un liberale)  rappresentati dai personaggi principali dell’opera e questo probabilmente si capisce meglio nelle conclusioni della “fiaba più lunga del mondo” come la definì Lester del Rey, dal rapporto tra i due Poteri che si scontrano e dai simboli che Tolkien adotta,   ad esempio le due torri, e considerando anche le scelte che fanno i    personaggi principali. 

Nel Suo libro   su Evola e Tolkien, quali temi comuni emergono con maggiore forza e vi sono indizi di interazioni dirette o indirette tra i due  ?

Non ci sono state persone più diverse fra loro che Evola e Tolkien sia umanamente che ideologicamente e in buona sostanza anche  politicamente, però era uniti da un unico punto di vista che ho sottolineato nel mio libro, cioè la loro antimodernità che in ognuno di essi si manifestava a seconda delle loro personali caratteristiche.  Entrambi erano contro il macchinismo, contro la tecnologia, contro la civiltà di massa, contro il turismo di massa in particolare, contro la distruzione della natura. Tutto ciò fino a questo momento non era stato notato e  messo in evidenza, forse per la grande diversità dei due autori fra loro,   e non era stato messo in risalto e commentato, cosa che ho fatto per la prima volta molto puntualmente con riferimenti precisi. Ma nonostante tutto il mio raffronto ha sollevato le critiche e spesso l’indignazione degli “ortodossi” di una parte o dell’altra. Chissà per quale recondito motivo…

Se con “interazione” si intendono rapporti, collegamenti e cose del genere la risposta è negativa. Che io sappia, pur se furono contemporanei (morirono a distanza di un anno uno dall’altro, 1973 e 1974) non ci furono contatti di alcun  genere fra loro, pur se Tolkien fece il suo famoso viaggio in Italia, non si conobbero e nessuno  lesse le opere dell’altro.

 A suo   avviso, la destra politica italiana contemporanea è stata influenzata da Tolkien e dal Signore degli Anelli, sia sul piano simbolico sia su quello ideologico  ?

R. Ho accennato in precedenza al problema e a come la destra italiana degli anni 70 e 80  “adottò” – è il  termine che ho sempre uso –  Tolkien e ne fu influenzata, ma stiamo parlando ormai di mezzo secolo fa o quasi, e la destra di oggi non è quella di ieri.  Di certo il libro, il suo autore e i suoi personaggi con i valori spirituali che rappresentano, sono stati un punto di riferimento anche per la destra successiva, ed infatti, se ricordo bene, proprio questo è stato rinfacciato pure alla attuale premier italiana, ma è roba del tempo che fu. Oggi devo dire con rammarico che la destra andata al governo nel 2022 mi pare che stia dimenticando quegli insegnamenti metapolitici  e si occupa soprattutto del potere pratico che gestisce a me pare con molta poca idealità specie nei ranghi intermedi. Ovviamente la gestione del potere è costituita da  fatti concreti più che da vagheggiamenti ideali,  ma dietro ci dovrà pur essere qualcos’altro, no?… Per fortuna qualche esponente dell’attuale governo lo possiede e proprio per questo è spesso preso di mira dagli avversari. Spero che resista … 

Infine , come immagina che evolverà in futuro il potenziale   mitopoietico della letteratura fantastica nell’era digitale?

Appunto, era digitale. Questa è la parola chiave,  anche perché pur trattandosi di una tecnologia molto sofisticata il digitale è sempre una tecnologia ed essa come influenzerà il fantastico nei suoi molteplici aspetti, più che la letteratura fantastica in particolare? Come lo influenzerà, come lo manipolerà, come lo indirizzerà? e quali saranno i nuovi punti di riferimento degli scrittori, dei disegnatori di fumetti, degli illustratori, dei   registi, degli sceneggiatori di film, di serie televisive? 

Si consideri da un lato quanto già conosciamo, ad esempio quanto si è riusciti a fare con i film dei supereroi e affini e in genere con i film di fantascienza e fantastici: cose mai viste prima, grazie all’Intelligenza artificiale e quindi al digitale. Ma da un altro verso si consideri come sia stato possibile creare ex novo fatti verosimili però mai avvenuti con protagonisti personalità reali: ad esempio anni fa l’arresto di Donald Trump quando non era ancora presidente, e adesso quello che invece il Trump presidente USA ha fatto realizzare con l’arresto del suo predecessore Barack Obama.  Sembra tutto verissimo e invece è tutto falsissimo grazie appunto all’opzione digitale.

Quello che lei definisce il “potenziale mitopoietico”  resisterà all’onda d’urto del digitale? o ne verrà manipolato e  modificato?  Mi auguro solo che il “potenziale mitopoietico”, che è un patrimonio dell’umanotà,  continui a resistere senza farsi stravolgere,  come ha resistito all’evolversi dei cambiamenti nei secoli adattandosi alle nuove culture che man mano sorgevano,  ma c’è una differenza fondamentale che è propria, come si sarà capito,  del nuovo medium: il digitale è di per sé immateriale e, sostanzialmente , può far tutto. In precedenza non esisteva e adesso mi chiedo se non potrà influenzare negativamente, senza quasi che nessuno se ne accorga direttamente,  il “potenziale mitopoietico”.  Per me un qualcosa di angosciante perché dalla sua resistenza alla onnipotenza della tecnologia digitale dipende la resistenza di un universo mentale che in fondo ha fatto l’uomo quello che è… 

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