Non è stata una sorpresa per me imbattermi nel Tradizionalismo nella mia ricerca sul Rivoluzionarismo conservatore. Mentre analizzavo come si influenzassero a vicenda e se ci fosse comunicazione tra loro, mi sono imbattuto nella rivista Antaios. Questa rivista, diretta da Ernst Jünger e Mircea Eliade, era un’importante piattaforma in cui si riunivano intellettuali conservatori di alto livello. Con Luca Siniscalco abbiamo recentemente discusso di figure come Antaios, Jünger e Julius Evola.
Cominciamo col conoscerla.
Innanzitutto, voglio ringraziarla per il suo interesse verso i miei studi e per avermi offerto questo spazio dialogico sulla sua eccellente piattaforma di avanguardia interculturale.
Mi chiamo Luca Siniscalco, attualmente sono dottorando in Studi Umanistici Transculturali presso l’Università di Bergamo, in co-tutela con la Justus Liebig Universität di Gießen (Germania). Il mio progetto di ricerca si intitola “L’evento del sacro nell’età della post-secolarizzazione. Incontri con l’ermeneutica di Hans-Georg Gadamer, l’arte di Hermann Nitsch e Anselm Kiefer”.
In precedenza, sono stato professore a contratto di Estetica presso l’Università degli Studi di Milano (a.a. 2021/2022) e presso l’Università eCampus (a.a. 2019/2023). Attualmente insegno anche Study Skills presso la European School of Economics (Campus di Milano) e Filosofia contemporanea all’interno del progetto accademico UniTreEdu.
I miei interessi di ricerca riguardano principalmente la filosofia e letteratura tedesca contemporanea, l’estetica, l’arte contemporanea, il simbolismo e la filosofia della religione. In questo contesto, ho dedicato la mia tesi di laurea magistrale in Scienze Filosofiche (Estetica) alla rivista “Antaios”, che so rappresentare per lei e per i suoi lettori fonte di interesse – ne parleremo a breve.
Al di là dell’attività accademica, mi sono occupato, fin dalla giovane età, dello studio, della discussione e della promozione editoriale del pensiero di autori erratici e “inattuali” (nel senso di Nietzsche), con particolare interesse per il Perennialismo, il Tradizionalismo integrale e la Rivoluzione conservatrice. Su queste correnti di pensiero ho sviluppato una discreta produzione saggistica, nonché ho avuto modo di coordinare diversi progetti editoriali, culturali e artistici.
Può parlarci della nascita e dell’importanza della rivista “Antaios”? Come si sono incrociate le strade di Eliade e Jünger? Come si può valutare l’impatto di questa rivista sulle generazioni successive?
La rivista “Antaios” è stata pubblicata dalla casa editrice tedesca Klett-Cotta dal 1959 al 1971, sotto la direzione dello scrittore e filosofo tedesco Ernst Jünger (1895-1998) e dello storico delle religioni romeno Mircea Eliade (1907-1986).
La genealogia del progetto culturale è piuttosto complessa. Qui posso solo riassumere alcuni fatti rilevanti che spiegano come le strade di Eliade e Jünger si siano incrociate.
Sembra che l’intenzione di progettare insieme una rivista dipenda da Jünger, che aveva già conosciuto e apprezzato Eliade grazie alla mediazione dell’amico Carl Schmitt. I due – Jünger ed Eliade – stabilirono inizialmente un contatto epistolare, che portò al loro primo incontro nel 1957, cinque anni dopo il loro primo contatto.
A quel tempo, l’editore e amico di Jünger, Ernst Klett, voleva promuovere una rivista conservatrice che si contraddistinguesse per l’alto livello culturale e una prospettiva internazionale. Il suo colto nipote Philipp Wolff-Windegg fu scelto come caporedattore, ma a dirigere il progetto servivano intellettuali più famosi e illustri. Jünger ed Eliade, in dialogo con Klett, divennero così i fondatori, nonché gli ispiratori teorici e i direttori nominali del progetto editoriale, anche se di fatto fu Wolff-Windegg a svolgere tutti i compiti operativi fondamentali all’interno della rivista.
Il ruolo di Wolff-Windegg, come sottolineato da Hans Thomas Hakl (autore dell’unico saggio significativo sinora pubblicato sulla storia di “Antaios”, in tedesco: “Den Antaios kenne und missbillige ich. Was er pflegt, ist nicht Religio, sondern Magie!”. Kurze Geschichte der Zeitschrift ANTAIOS, in “Aries”, 9, 2) è stato a tal proposito fondamentale: ha svolto con passione e attenzione tutto il “lavoro sporco” richiesto da un progetto così vasto, mentre Jünger e Eliade hanno rappresentato soprattutto una garanzia di qualità culturale e una risorsa per attirare collaboratori da tutto il mondo disposti a donare alla rivista i loro pensieri e le loro idee migliori. Tra questi, posso qui ricordare solo i nomi più famosi: Friedrich Georg Jünger, Emil M. Cioran, Roger Caillois, Cristina Campo, Henri Micheaux, Denis de Rougemont, Henry Corbin, Raimon Panikkar, Leopold Ziegler, Frithjof Schuon, Julius Evola e Gherardo Gnoli.
Questi – e molti altri – nomi eminenti non riuscirono tuttavia a impedire la chiusura della rivista nel 1971, dovuta soprattutto a motivi economici: le copie vendute non erano sufficienti a sostenere lo sforzo editoriale.
Ciò che rimase – e rimane in eredità – è la tensione culturale ed esistenziale del progetto, sintetizzata in una lirica espressione di Ernst Jünger: “Oggi, mentre il sole luminoso di Kant si sta spegnendo, sta forse sorgendo quello scuro del suo concittadino di Königsberg, Hamann”. Lo scopo era, per dirla in modo più chiaro, sfidare il pensiero europeo mainstream, che negli anni ‘60 era dominato dal marxismo e dal ruolo centrale, come discipline ritenute in grado di interpretare esaustivamente la realtà, della scienza politica, della sociologia e della psicoanalisi materialista. Invece “Antaios” evocava un processo di “resurrezione degli dèi”: un’interpretazione del mondo attraverso le “armi” culturali fornite dall’ermeneutica mitico-simbolica (si veda a questo proposito il mio articolo Antaios: A Mythical and Symbolic Hermeneutics, in “Forum Philosophicum”, vol. XXV, n. 1, 2020).
Wieland Schmied lo capì perfettamente nel suo articolo Der Gegenwart eine neue Dimension gewinnen – Zu zwei neuen Zeitschriften (1960), dove affermava che “‘Antaios’ è una rivista diretta contro la nostra epoca – contro l’alienazione e lo sradicamento dell’uomo moderno. Gli autori qui riuniti si ribellano palesemente contro l’impoverimento spirituale causato dal pensiero astratto e concettuale, e oppongono al linguaggio formale e incruento delle scienze specialistiche il linguaggio simbolico di un mondo di immagini che è stato rimosso. Qui ci si muove sulle tracce di fonti ormai sepolte”.
Misurare oggettivamente l’impatto teorico di “Antaios” è un compito difficile. Da un lato, la fine del progetto e la mancanza di studi ad esso dedicati – a parte l’avventurosa e solitaria impresa di H.T. Hakl, che ha profondamente ispirato la mia ricerca – sembrano certificare la sua limitata attualità. Ma, a ben guardare, è possibile riconoscere alcuni frutti diretti (e indiretti) di questa esperienza, che cercano – più o meno adeguatamente – di preservare lo “spirito” e il programma culturale della rivista. Tra questi posso citare le riviste “Scheidewege. Zeitschrift für skeptisches Denken” (dal 1971), “Merkur” (un mensile già pubblicato da Klett-Cotta a partire dal 1968, dotato di un’analoga prospettiva conservatrice, e tuttora in vita), e l’omonima casa editrice Antaios, che si occupa in particolare di metapolitica, con collegamenti con la cosiddetta Nuova Destra.
Inoltre, come ho recentemente sostenuto in un saggio dedicato ad Eranos (nel volume collettaneo Viaggio a Eranos. Il ritorno degli Dèi nel XX secolo, Bietti, Milano 2024), è possibile individuare nell’Europa del Novecento un ancor più vasto intreccio, fatto di riviste, simposi e ambienti culturali che, pur con le loro differenze e peculiarità, condividevano nel “Cuore di tenebra” del Secolo breve l’ambizione di ricercare “un’altra modernità” – un altro inizio (Neuer Anfang), per riprendere il lessico di Heidegger. Tutto era incentrato sulla valorizzazione del mito, dei simboli, dell’esoterismo e dei linguaggi delle arti espressive, contrapposte alla subordinazione culturale ed esistenziale agli schemi del razionalismo, del materialismo, del positivismo e della secolarizzazione. Collegato a questa prospettiva è lo sviluppo di un approccio analogico ai fenomeni che mira a riunire interno ed esterno, soggetto e oggetto, idea e materia, trascendenza e immanenza, frammento e totalità. L’intento di Jünger, Eliade e dei tanti collaboratori che hanno partecipato a questo percorso intellettuale era infatti quello di avvicinarsi al microcosmo come a una vita pulsante, cogliendo olisticamente la trascendenza nei frammenti, trovando nelle maglie della realtà un’ontologia plurale e multidimensionale, contemplando la gerarchia delle forme che riconduce sempre all’Origine ineffabile da cui tutte scaturiscono.
Lungo questo percorso incontriamo anche altre esperienze editoriali, come quella di “Conoscenza Religiosa”, rivista italiana fondata da Elémire Zolla, e della “Zeitschrift für Ganzheitsforschung”, diretta dall’austriaco Walter Heinrich, solo per menzionarne due particolarmente rilevanti.
In senso ancora più ampio, l’esperienza di “Antaios” potrebbe essere messa in dialogo con la significativa crescita di interesse che lo studio dell’esoterismo occidentale ha suscitato negli ultimi decenni in ambito accademico a livello internazionale. E, tornando indietro nel tempo, sarebbe interessante, in termini di storia delle idee, un confronto con i circoli culturali esoterici del primo Novecento – penso, ad esempio, in Italia, alle attività congressuali della Lega Teosofica Indipendente di Decio Calvari e alle iniziative magiche operative (ed editoriali) del Gruppo di Ur.
Questa storia culturale nascosta dell’Occidente ha ancora bisogno di ricercatori, studiosi, commentatori – e anche successori.
Quali erano i temi principali degli scritti di Jünger apparsi sulla rivista “Antaios”? Su quali temi ha incentrato il suo pensiero?
Ernst Jünger ha pubblicato su “Antaios” 17 saggi nell’arco del decennio di vita della pubblicazione. La maggior parte di essi era inedita, ma è stata successivamente rielaborata e pubblicata autonomamente dallo scrittore tedesco. Sulle pagine di “Antaios”, ad esempio, possiamo leggere sezioni fondamentali di An der Zeitmauer (Al muro del tempo), ma anche i nuclei fondamentali dei futuri saggi Maxima-Minima e Annäherungen. Drogen und Rausch (Avvicinamenti. Droghe ed ebbrezza).
I temi sono quindi vari: riguardano il problema della modernità e del nichilismo, la condizione esistenziale dell’uomo moderno, ma anche argomenti più disimpegnati, soprattutto nei numerosi diari di viaggio. Considerando l’attuale bibliografia disponibile, almeno nelle lingue europee, la scoperta di questi articoli non apre scenari estremamente nuovi nell’ambito degli studi jüngeriani.
Ciò che però è particolarmente rilevante, a mio avviso, è il contesto di pubblicazione e la risonanza dei testi di Jünger con l’intero “programma” di “Antaios”. La lettura di questi articoli in tale preciso contesto permette infatti di sottolineare la centralità dei temi del mito, del simbolo e del sacro nella visione di Jünger – concepiti, questi aspetti, non in modo antiquato o reazionario, bensì come controparti fondamentali del logos nella comprensione della realtà e nella valorizzazione dell’esperienza di vita umana. Questo Jünger, spinto a ricercare la bellezza della sacralità all’interno delle manifestazioni della natura, delle tradizioni culturali, delle espressioni letterarie e persino delle esperienze psicotrope, dev’essere integrato e bilanciato con la più famosa componente eroica, militare e politica che contraddistingue la sua identità culturale.
È notevole che il rivoluzionario conservatore Jünger e il tradizionalista Eliade si incontrino su questa piattaforma. In quali punti ritiene che i rivoluzionari conservatori e i tradizionalisti si uniscano e in quali, invece, differiscano? Su quali basi intellettuali è avvenuto questo incontro?
Queste domande richiedono un chiarimento preliminare. Il rapporto stesso tra Eliade e il Tradizionalismo è stato ampiamente dibattuto dagli studiosi, portando a conclusioni radicalmente eterogenee. Sintetizzando impropriamente un dibattito interessante e variegato, credo sia possibile individuare due posizioni fondamentali: da un lato, la sussunzione di Eliade, con tutte le distinzioni e gradazioni del caso, al filone tradizionalista, mediante l’accentuazione della coerenza delle sue posizioni con quelle dei principali esponenti del pensiero della Tradizione e sulla base della stima da lui ripetutamente espressa nei loro confronti; dall’altro, il rilievo attribuito da Eliade ai requisiti accademici della ricerca storico-religiosa, il suo approccio metodologico scientifico e il suo rifiuto della concezione pessimistica della degenerazione storica tipica del Tradizionalismo, nonché l’assenza della nozione stessa di Tradizione, almeno in senso “forte”, nella sua opera.
Evitando di prendere di petto questo specifico e complesso dibattito, e venendo alla sua domanda, a essere rilevante è il fatto che il progetto di “Antaios” ospitò effettivamente articoli di Eliade (e di altri “colleghi” storici delle religioni, come Corbin, de Martino, Kerényi e Zaehner), di esponenti della Rivoluzione conservatrice (i fratelli Jünger, ma anche Niekisch) e di diversi tradizionalisti (tra gli altri: Schuon, Evola, Zolla, Campo, Pio Filippani-Ronconi). Considerando l’indirizzo non politico della rivista, ciò che li accomunava era principalmente la sensibilità che ho già definito “ermeneutica mitico-simbolica”: un tentativo di risacralizzare lo sguardo rivolto dall’uomo sulla realtà e di tematizzare fonti religiose, esoteriche e simboliche come strumento d’indagine, approfondimento, trasformazione, persino, della realtà. Le significative differenze teoriche tra le loro prospettive diventano secondarie rispetto alla rilevanza esistenziale di questo compito e alla comune prospettiva antimoderna. Questo impegno è stato condiviso secondo la tipica mentalità rivoluzionario-conservatrice: preservare la tradizione senza ideologizzarla e reificarla, piuttosto rendendola dinamicamente attuale e viva. La meta di questo cammino è stata rappresentata da Jünger come il Grande Incontro “al muro del tempo”, da Eliade come la coincidentia oppositorum conquistabile all’interno nei percorsi religiosi, da altri autori mediante simboli e immagini ancora differenti: ma si tratta sempre di una realizzazione spirituale di carattere unitivo, concepita al di fuori delle forme dualistiche metafisiche e teologiche classiche.
Infine, cosa ci può dire del rapporto tra Evola e Jünger? I due erano in comunicazione? Come si sono influenzati reciprocamente a livello intellettuale?
Da un punto di vista biografico, ci è consentito seguire solo alcune tracce sparse, che tuttavia permettono di identificare un rapporto significativo e fecondo.
Jünger è solo uno dei numerosi membri della Rivoluzione conservatrice tedesca e austriaca con cui Evola fu in contatto dalla fine degli anni Venti. Probabilmente i due non s’incontrarono mai di persona, ma alcune lettere testimoniano una loro conoscenza diretta fondata su un interessante scambio epistolare (le lettere a nostra disposizione sono state recentemente pubblicate in Julius Evola, Fuoco Segreto. Lettere, interviste, documenti, testimonianze, inediti, Edizioni Mediterranee, Roma 2024).
Questo legame culminò nella collaborazione di Evola con “Antaios”: cinque suoi articoli furono pubblicati tra il 1960 e il 1970 sulla rivista della Klett-Cotta – anche se è più probabile che non siano stati richiesti da Jünger, piuttosto concordati con un collaboratore della casa editrice, con cui Evola era in contatto dato che pubblicò con essa l’edizione tedesca della sua Metafisica del sesso. Sulla collaborazione di Evola con “Antaios” si veda Julius Evola, Antaios (1960-1970), introduzione di Hans Thomas Hakl, a cura di Luca Siniscalco, Fondazione Julius Evola/Pagine, Roma 2019.
A Evola dobbiamo anche la scoperta e la diffusione di Jünger in Italia. Il tradizionalista romano voleva infatti tradurre Der Arbeiter (L’operaio), il suo testo prediletto in virtù del realismo eroico incarnato nella Forma della Nuova Oggettività e in una radicale metafisica della volontà. Non trovando un accordo per la pubblicazione, dedicò al saggio uno studio monografico, ricco di citazioni: L’“Operaio” nel pensiero di Ernst Jünger (introduzione di Marino Freschi, Edizioni Mediterranee, Roma 1998).
Evola tradusse anche, con lo pseudonimo di Carlo d’Altavilla, Al muro del tempo (pubblicato nel 1965 da Volpe), pur non apprezzando il “secondo” Jünger, che considerava, come duramente espresso in una recensione, troppo coinvolto in una visione del mondo per così dire escapista e fantasmatica: “Il libro – scrive Evola (“Al muro del tempo”, in Ricognizioni. Uomini e problemi, Mediterranee, Roma 1974) –, contiene qua e là intuizioni e considerazioni valide, mescolate però a fantasie e a dubbie speculazioni. Come sistematicità e conchiusezza non è a livello de L’operaio. Soprattutto, per affrontare seriamente la metafisica della storia (concezione del tempo, dottrina delle quattro età del mondo, escatologia, ecc.), non possono bastare vedute personali, anche se di una mente sagace e da artista; occorre invece rifarsi ad un sapere oggettivo, tradizionale, come ha fatto ad esempio un René Guénon e il suo gruppo e come noi stessi abbiamo cercato di fare, trattando analoghi problemi”.
È difficile, infine, ipotizzare un’influenza reciproca: non sappiamo nemmeno se Jünger abbia letto saggi di Evola – e pare che Evola in Jünger abbia trovato più una conferma delle posizioni già autonomamente elaborate, piuttosto che uno stimolo a rimodellarle o integrarle. Tuttavia, alcune forti affinità teoriche – troppo numerose per essere qui elencate in modo esaustivo – palesano un orizzonte filosofico e spirituale comune profondamente radicato. Si pensi, ad esempio, al loro approccio alla questione del nichilismo, al titanismo volontaristico giovanile, alla fascinazione per i miti e i simboli, all’interesse per le soggettività “radicali” (l’anarca di Jünger e l’“uomo differenziato” di Evola), al fascino per l’apolitia. Questi interessi e prospettive comuni richiedono ancora ulteriori studi e ricerche perché le loro implicazioni e interconnessioni possano essere esplorate appieno.